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Ancora tensioni al carcere di Rieti. Detenuto sale sul tetto per protesta

Nuova giornata di tensione in carcere a Rieti. Secondo quanto denuncia il Sappe, un detenuto è salito stamattina sul tetto del carcere per inscenare una protesta. Come spiega Maurizio Somma, segretario nazionale per il Lazio del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, “l’uomo, senza dare motivazioni e rifiutando il dialogo, è salito sul tetto del carcere. Sono momenti di grande tensione ma è comunque stato pronto e tempestivo l’intervento dei poliziotti penitenziari, che hanno monitorato la situazione ed hanno interagito con l’uomo”.

“Si sono vissuti momenti di grande tensione, ma sono stati gestiti al meglio dal Personale in servizio di Polizia Penitenziaria”, evidenzia il Segretario Generale Donato Capece, il quale evidenzia come la protesta del detenuto salito sul tetto del carcere di Rieti è “sintomatica del fatto che le tensioni e le criticità nel sistema dell’esecuzione della pena in Italia restano costanti, a tutto danno dello stress correlato delle donne e degli uomini del Corpo”.

“Stiamo parlando di poliziotti che fanno servizio in sezioni al limite (e oltre…) le condizioni minime di salubrità, che sono costretti a fare ore e ore di straordinario ogni giorno per far fronte ai compiti istituzionali, che non hanno neppure gli strumenti utili a garantire la loro stessa incolumità fisica, come può essere il taser”, prosegue il leader del Sappe. Capece sollecita “provvedimenti urgenti” e ricorda che giovedì scorso ha incontrato a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni: “nessuna indulgenza verso chi aggredisce i nostri poliziotti. In questo senso va nella giusta direzione il nuovo Decreto Sicurezza del Governo, là dove prevede proprio un inasprimento di pena per i detenuti che aggrediscono il personale di Polizia Penitenziaria durante la permanenza e l’espiazione di pena in carcere”. Capece ricorda di avere espresso nei giorni scorsi “apprezzamento anche per l’impegno assunto dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio e dal suo omologo albanese Ulsi Manja che consentirà il trasferimento, presso gli istituti di pena del Paese d’origine, dei 1.940 detenuti albanesi ad oggi ristretti nelle carceri italiane”.