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Detenzione di materiale pedopornografico. 26enne condannato ad un anno e 8 mesi di reclusione

Si è conclusa con una sentenza di condanna definitiva alla pena di un anno e otto mesi di reclusione, nonché al pagamento di una multa di 1.400 Euro per detenzione di materiale pedopornografico una indagine della Polizia di Stato, condotta dalla Squadra Mobile della Questura di Rieti, nei confronti di un ventiseienne abruzzese.

In particolare, nell’estate del 2016, il giovane era stato denunciato in stato di libertà dagli investigatori reatini della Polizia di Stato dopo che due giovani reatine avevano sporto denuncia nei suoi confronti per diffamazione aggravata in quanto lo stesso, dopo aver acquisito le rispettive utenze telefoniche, aveva pubblicato su siti informatici, senza il loro consenso, foto personali che ne ritraevano i volti, accompagnate da frasi diffamatorie e le aveva minacciate di diffonderle anche su siti per adulti.

Nel corso della successiva attività delegata dalla locale Procura della Repubblica, gli investigatori della Polizia di Stato sequestrarono a carico dell’indagato tutto il materiale informatico (telefoni, computer, schede di memoria) utilizzato per concretizzare le azioni diffamatorie, all’interno del quale era custodito materiale a sfondo pedopornografico consistente in oltre 1000 fotografie di minori ripresi in pose oscene o coinvolti in scene di sesso con adulti ed altri video della stessa natura.

Il giovane è stato pertanto denunciato anche per il reato di detenzione di materiale pedopornografico e il Tribunale di L’Aquila, competente per materia e per territorio, all’esito dell’udienza preliminare nella quale l’indagato aveva optato per il rito alternativo del giudizio abbreviato, lo ha condannato alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione, ridotta alla reclusione di anni 1 e mesi 8 ed alla multa di euro 1.400, con pena sospesa.

La sentenza è stata confermata dalla Corte di Appello di L’Aquila ed è divenuta irrevocabile a seguito della pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, alla quale l’imputato si era rivolto alla fine del 2023, che ha dichiarato inammissibile il suo ricorso. Il giovane è stato, nella circostanza, condannato anche al pagamento delle spese processuali e della somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.